LA SOLITUDINE SIDERALE DI JULIUS EVOLA CHE SFIDA I SECOLI
Il lungo cammino
attraverso Dada, esoterismo, Tradizione di un filosofo incompreso e rifiutato.
Oggi come allora - Marcello
Veneziani - Lun, 31/03/2014 - 09:37 il Giornale.it
Evola - Anni 70 |
Così Julius Evola (1898-1974), descrive nella sua autobiografia la solitudine siderale del suo cammino. Mezzo secolo fa Evola scese dal cavallo altero dell'impersonalità e si raccontò in un'autobiografia intellettuale che intitolò con spirito alchemico Il cammino del cinabro. Ora, a quarant'anni dalla sua morte, il testo rivede la luce nelle Opere di Evola (Mediterranee, pagg. 438, euro 32,50), curate da Gianfranco de Turris, aiutato da Giovanni Sessa e Andrea Scarabelli, arricchito di note, notizie e altri scritti. La prefazione è di Geminello Alvi. Curioso l'inserto fotografico con immagini di Evola mai viste, per esempio da bambino coi suoi genitori.
Evola racconta la sua vita attraverso le sue opere e i suoi snodi fondamentali: l'esperienza della Grande Guerra, poi il periodo di pittore Dada, quindi la fase filosofica, poi il suo percorso esoterico, infine il suo cammino nella Tradizione. E sullo sfondo, i suoi rapporti con gli artisti e gli iniziati, gli scrittori e i filosofi del suo tempo, le trasgressioni, il controverso rapporto col fascismo tra sostegno e dissenso, superfascismo e antifascismo, e poi con i giovani della destra postbellica. C'è anche il capitolo scabroso del razzismo. Evola fu teorico di un razzismo spirituale che non piacque ai razzisti doc e ai nazisti ma gli restò addosso come il suo peccato originale. Non c'è in lui odio antisemita né alcun fanatismo, c'è perfino una dignitosa coerenza, riconobbe Renzo De Felice. Ma Evola prescinde totalmente dai fatti e dalla tragedia dello sterminio e si attesta solo sui principi; ciò infonde un tono astratto alle farneticazioni della razza, qui ridotte peraltro da lui a «una parentesi» nella sua vita e nella sua opera. Evola confessa di aver rasentato da giovane «l'area delle allucinazioni visionarie e fors'anche della pazzia» e «una specie di cupio dissolvi, un impulso a disperdersi e a perdersi».
Nelle pagine del Cinabro, a fianco del pensiero e delle opere, scorre la vita, la storia - arricchita dalle note dei curatori gli ambienti a lui vicini e a lui avversi, le note ostili della questura ai tempi del fascismo, perfino la vicenda di un duello rifiutato da Evola per non abbassarsi al rango dello sfidante che però gli costò la rimozione del grado di ufficiale e gli impedì di partire volontario nella seconda guerra mondiale. Ci sono gli scontri con alcuni fascisti, c'è la sua fama di mago e c'è perfino l'accenno di Evola al Mussolini superstizioso: «Aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava che si pronunciasse il nome in suo cospetto». C'è la storia assurda del processo nel dopoguerra a un gruppo di giovani neofascisti in cui fu coinvolto un Evola del tutto ignaro e ormai paralizzato, vittima di un bombardamento a Vienna. C'è la cronaca della sua morte, l'11 giugno di 40 anni fa, quando si fece portare davanti alla finestra e morì in piedi, guardando al Gianicolo; e poi i funerali con la sua bara senza croce e senza corteo funebre, secondo le sue volontà, e le sue ceneri disperse tra le cime delle Alpi, che aveva amato e scalato.
Evola fu un mito già da vivente, avvolto in un alone di magia. In queste pagine aleggia un paradosso: un pensatore isolato e in disparte che incrocia nella sua vita e nella sua opera, gli autori, le correnti, gli eventi più salienti del Novecento.
A questo paradosso ne corrisponde uno inverso sul piano del pensiero: Evola, fautore della Tradizione e del Sacro, fonda la sua opera su un Individualismo Trascendentale, non solo teorico e psichico ma pratico e magico. Per Evola la verità è solo «un riflesso della potenza: la verità è un errore potente, l'errore è una verità debole». Un relativismo imperniato sulla potenza, che ne decide il rango e il valore. «Essere, verità, certezza non stanno dietro ma avanti, sono dei compiti», non dei fondamenti.
Grandiosi piani metastorici in nome della Tradizione, templi sacri, civiltà millenarie dell'Essere ma in piedi resta solo la solitudine stellare dell'Io. Solipsismo eroico. «Debbo pochissimo all'ambiente, all'educazione, alla linea del mio sangue scrive Evola, sottolineando la sua estraneità alla tradizione cristiana, famigliare e patriottica il mio impulso alla trascendenza è centrato sull'affermazione libera dell'Io».
Anzi, avverte Evola, «non vi è avvenimento rilevante dell'esistenza che non sia stato da noi stessi voluto in sede prenatale». Siamo quasi all'autocreazione, al self made man metafisico. Resta sospesa nei cieli la domanda che qui si pone Evola: «Che cosa può venire dopo il nichilismo europeo?... Dove si può trovare un appoggio, un senso dell'esistenza, senza tornare indietro?». Evola rispose che l'unica soluzione era «essere se stessi, seguire solo la propria legge, facendone un assoluto». Ma non è proprio questa incondizionata libertà la punta più avanzata del nichilismo europeo, non è di questo individualismo assoluto che sta morendo la nostra civiltà? E se fosse l'Individuo Assoluto l'ostacolo estremo alla rivelazione dell'Essere?
Un titanico e aristocratico disdegno del mondo accompagna il racconto biografico di Evola. Ma ogni tanto si apre uno squarcio nel suo severo stile impersonale. Ad esempio quando riporta in queste pagine i giudizi lusinghieri sulle sue opere. Fa tenerezza notare che per lenire il suo isolamento Evola citi queste sporadiche e spesso modeste attenzioni alla sua opera. O quando sfugge al suo stoicismo imperturbabile qualche umana amarezza per il mancato riconoscimento del suo pensiero: «La grande stampa e la cultura ufficiale rimasero, e anche in seguito dovevano rimanere, sorde». Lo stesso Cammino del Cinabro, confessa nella nota d'esordio, fu scritto «nell'eventualità che un giorno l'opera da me svolta in otto lustri sia fatta oggetto di un'attenzione diversa da quella che finora le è stata concessa». Altri otto lustri sono passati dalla sua morte ma non sembrano bastati. La solitudine di Evola sfida i secoli.
JULIUS EVOLA
Evola - Anni 40 |
Giulio Cesare
Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (Roma, 19 maggio 1898 – Roma,
11 giugno 1974), è stato un filosofo, pittore, poeta, scrittore ed esoterista
italiano. Fu personalità poliedrica nel panorama culturale italiano del
Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi: arte, filosofia, storia,
politica, esoterismo, religione, costume, studi sulla razza.
Le sue posizioni
si inquadrano nell'ambito di una cultura di tipo aristocratico-tradizionale e
di tendenze ideologiche in parte presenti nel fascismo e nel
nazionalsocialismo, pur esprimendosi spesso in chiave critica nei confronti dei
due regimi. Mussolini ne apprezza alcune impostazioni: in particolare il
ritorno alla romanità e una teoria della razza in chiave spirituale. Da parte
sua il filosofo nutre una pacata ammirazione nei confronti del Duce.
Evola ha una sua
influenza, anche se difficilmente quantificabile, nel variegato mondo della
cultura fascista: con lo scopo di indirizzarne l'impostazione culturale ed
ideologica verso posizioni più affini al suo pensiero, scrive numerosi saggi,
collabora intensamente con riviste e giornali di grande tiratura e partecipa
alla vita accademica del suo tempo in veste di conferenziere, sia presso alcune
prestigiose università italiane e straniere che nell'ambito dei corsi di
mistica fascista.
Ma è lo stesso
Evola, nel primo numero della rivista da lui diretta, La Torre, quando espone
il suo pensiero sul mondo della tradizione, a sintetizzare la sua posizione
verso il fascismo: «Nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi,
in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto». C'è
anche chi ritiene che in sede diplomatica Evola svolga missioni ad altissimi
livelli per conto dello stesso governo italiano.
Nonostante ciò,
le sue idee eterodosse non sempre sono ben accette dalla classe dirigente italiana
del tempo e gli valgono la sospensione di alcune pubblicazioni da parte dello
stesso PNF e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste. Evola
contribuisce alla divulgazione in Italia di importanti autori europei del XIX e
del XX secolo: Bachofen, Guénon, Jünger, Ortega y Gasset, Spengler, Weininger,
traducendo alcune loro opere e pubblicando saggi critici.
La complessità
del suo pensiero gli procura, anche dopo la fine della guerra, un grande
seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, da quelli più
tradizionalisti del neofascismo (Pino Rauti ed Enzo Erra del Centro Studi
Ordine Nuovo) fino a quelli rappresentati da esponenti della destra più
moderata (Giano Accame, Marcello Veneziani). Le sue opere vengono tradotte e
pubblicate in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia, Svizzera,
Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Messico, Canada, Romania, Argentina,
Brasile, Ungheria, Polonia, Turchia.
JULIUS EVOLA - CITAZIONI
“Vivi come se tu
dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai. [Questa frase
viene erroneamente attribuita a diversi personaggi, tra cui Moana Pozzi o
Giorgio Almirante, tuttavia si tratta di una frase originale di Julius Evola]„
“Ognuno ha la
libertà che gli spetta, misurata dalla statura e dalla dignità della sua
persona.„
“La vita deve
esser volontà diretta da un pensiero.„
“Portarsi non là
dove ci si difende, ma là dove si attacca.„
“Si lascino pure
gli uomini del tempo nostro parlare, con maggiore o minore sufficienza e
improntitudine, di anacronismo e di antistoria. [...] Li si lascino alle loro
"verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo
di rovine. [...] Rendere ben visibili i valori della verità, della realtà e
della Tradizione a chi, oggi, non vuole il "questo" e cerca
confusamente "l'altro" significa dare sostegni a che non in tutti la
grande tentazione prevalga, là dove la materia sembra essere ormai più forte
dello spirito.“
“Un artigiano che
assolve perfettamente alla sua funzione è indubbiamente superiore ad un re che
scarti e non sia all'altezza della sua dignità.„
“Nell'idea va
riconosciuta la nostra vera patria. Non l'essere di una stessa terra o di una
stessa lingua, ma l'essere della stessa idea è quel che oggi conta.„
“È importante, è
essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità,
definisca secondo un rigore intellettuale ed un'assoluta intransigenza l'idea,
in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea
soprattutto nella forma dell'uomo nuovo, dell'uomo della resistenza, dell'uomo
dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di
ordine vacillante e illusorio, solo a quest'uomo spetterà il futuro. Ma
quand'anche il destino che il mondo moderno si è creato, e che ora sta
travolgendolo, non dovesse esser contenuto, presso a tali premesse le posizioni
interne saranno mantenute: in qualsiasi evenienza ciò che potrà esser fatto
sarà fatto e apparterremo a quella patria, che da nessun nemico potrà mai
essere né occupata né distrutta. „
“Un uomo che,
semi-illetterato, ha vivo il sentimento di onore e di fedeltà, per noi vale di
più di un accademico laureato narcisista pronto ad ogni cortigianeria pur di
farsi avanti o di uno scienziato vigliacco: e, più in alto di tutto, stanno per
noi i valori eroici ed ascetici, unici a giustificare la vita con qualcosa, che
è più che vita.”
“Conta solo il
silenzioso tener fermo di pochi, la cui presenza impassibile da convitati di
pietra serva a creare nuovi rapporti, nuove distanze, nuovi valori; a costruire
un polo il quale, se di certo non impedirà a questo mondo di deviati di essere
quello che è, varrà però a trasmettere a qualcuno la sensazione della
verità-sensazione, che potrà fors'anche essere principio invisibile di qualche
crisi liberatrice.”
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